La vera storia della Monna dell’Orso.

bambola monna dell'orso

E’ stata pensata già da molti anni, ma bisognava aspettare le persone ed il momento giusto per realizzarla, è un’altro piccolo sogno che diventa realtà, un altra piccola leggenda che mettiamo qui sul territorio.

La Monna, la donna, la signora, la prima signora, dell’Orso, quindi la signora la principessa degli orsi e con loro dell’inverno e dei suoi elementi, come il freddo la neve, il glaciale. In questa occasione presentiamo un nuovo elemento, che resterà fisso nella nostra bottega per i tempi a venire, presentiamo la bambola della Monna dell’Orso, e con lei la storia di questa principessa, regina della nostra montagna invernale, che va in letargo in primavera per risvegliarsi in autunno protetta dai suoi orsi.

Felicita la monna dell’orso

Apri gli occhi, si chiuse  l’ultimo fiore, cadde il primo fiocco di neve.

Accadeva sempre cosi, da ormai molti anni, magari potevano sembrare ancora giorni tardo autunnali, ma da quando si svegliava, di lì a poco sarebbe sicuramente caduta la prima neve. Il suo nome, quello vero intendo era Felicita, era nata nel 1857, nei primi mesi freddi di fine anno, in uno di quei paesini giù a valle, dove il suo nome che a noi suona cosi strano era comune ed utilizzato frequentemente, specialmente nelle bambine nate nel giorno della santa patrona.

All’epoca della nostra storia Felicita aveva già 9 anni, erano gli ultimi giorni di Ottobre e già da qualche settimana tutte le mattine insieme ai genitori e alla mula Nunziatina si saliva sull’altopiano, a raccogliere le “cornella” per l’inverno, cosi li chiamano da queste parti i rami secchi che cadono da soli dagli alberi. Era una bella giornata, limpida e terza con quel fresco autunnale che in montagna già fa pizzicare le guance, il posto dove si trovavano era chiamato gli scifi per una sorgente d’acqua che veniva raccolta in delle vasche di tronchi scavati, che somigliavano appunto a degli scifi. La famigliola aveva raccolto legna per tutta la mattinata, mentre Nunziatina pascolava libera,ed anche Felicità aiutava molto, veloce come una lepre correva di qua e di la, una volta a prender legna, una volta dietro a un passero, un’altra ancora persa nei suoi giochi e pensieri di bambina. Poi verso le 11.00 il suo compito era quello di accendere il fuoco e preparare per scaldare il pranzo e i piedi intirizziti dall’umido del sottobosco. Nel pomeriggio infine mentre papà caricava la mula e mamma raccoglieva qualche erba commestibile Felicita poteva giocare libera, pensava al suo decimo compleanno che sarebbe stato fra pochi giorni, e pensava che avrebbe potuto raccogliere dei cardi secchi, sarebbero stati belli da mettere sulla testa del suo letto o magari preparare una marmellata con le bacche della rosa canina, poi vide il leprotto, era piccolo, era tardivo, pensò che sicuramente non ce l’avrebbe fatta a superare l’inverno e sarebbe diventato il pasto di qualche volpe o lupo affamato, pensò che se ne sarebbe potuta prendere cura lei e che anche un leprotto sarebbe stato un bel regalo per il suo compleanno e che la mamma non avrebbe potuto dirgli di no, era il suo decimo compleanno, e allora cominciò a corrergli dietro. Caspita come corre questo piccolo, scatta di qua e di là e poi è salita, è difficile tenergli dietro, ad un certo punto il fiato finisce e la piccola desiste, a corso un bel po’, a testa bassa ora riprende fiato e la montagna la guarda, anche lei alza gli occhi e la guarda,e la trova imbrunita, il sole sta facendo la fessura, gli passa un brivido, subito si volta e comincia a correre per tornare indietro, non gli sembrava di aver fatto tanta strada, ma finalmente è quasi arrivata, deve solo scollinare e la fonte dovrebbe essere li…..e non c’è, c’è un pianoro con un’altra collinetta sul fondo, forse è quella, la percorre ma niente, non è li, allora cerca di far mente locale, alla sera quando riscendono a valle hanno il sole negli occhi, quindi deve andare verso il sole, quindi fin’ora aveva corso nel senso sbagliato. La piccola riprese a correre nel senso opposto, fermandosi ogni tanto e chiamando, correre in un bosco non è facile costringe a stare con la testa bassa ed ogni tanto si incontrano intoppi che fanno cambiare strada, è difficile mantenere la rotta sempre sperando poi che quella sia la rotta giusta. Il sole completato il suo arco nel cielo presto cede il suo lume alla stella polare, Urano lontano fa partire il lento meccano del cielo, prima Andromeda poi Orione, e pian piano tutte le figlie di Atlante, sono dei brillanti ad indicare la strada ai viaggiatori, ma Felicita non conosce ne di cielo ne di stelle, e ben presto tutto intorno diventò un nero indistinto,  non si scorgeva una luce all’orizzonte, ne si sentiva un rumore conosciuto, allora la bimba stanca cercò ancora di dare un senso al suo girovagare, era piccola, non sapeva di stelle, ma sapeva di montagna, ci era cresciuta, sapeva che anche se non ancora inverno li su era troppo freddo per passarci un’intera notte e che bisognava scendere più in basso, e magari con un pò di fortuna sarebbe scesa dalla parte del suo paese . Ma le cose non sempre vanno come uno le pensa, trovata la discesa Felicita iniziò a scendere, senza sapere che si stava addentrando nella parte centrale del pianoro quella più fredda, arrivata giù in fondo alla valle, fu presa dallo sconforto, non era arrivata in nessun paese, faceva freddo, era stanca e tutto intorno il terreno saliva soltanto, provò con un ultimo sforzo a risalire la china, ma era stremata, percorse poche decine di metri forse, quando inciampò e cadde a terra rimanendo senza fiato, vide poco lontano una cavità alla base di un faggio e con il freddo che le passava le ossa gli sembrò in quel momento il posto più accogliente del mondo, lo raggiunse e vi si ranicchiò, il freddo avanzava pian piano sotto i vestiti, sapeva che non doveva dormire, ma aveva faticato tanto ed il pranzo leggero del giorno era già stato abbondantemente digerito da un pezzo, era stata coraggiosa e forte, la montagna l’aveva vista e quasi gli era dispiaciuto di non poter contravvenire alle sue regole che per quanto rigide ed a volte crudeli sono vere e non possono essere infrante, ma un regalo glielo poteva fare, gli concesse il sonno.

Apri gli occhi, che era immersa per metà sotto la neve, la giornata era serena e rigida, il contatto con la neve non gli dava alcun fastidio, i suoi capelli erano diventati completamente bianchi e fuori dall’albero un orso faceva la ronda come ad aspettare il suo risveglio, gli bastò un cenno della testa e l’animale con fare mansueto le si avvicinò, le porse il fianco e la lasciò salire, il suo nome era Rodo capo degli orsi che erano stati destinati a proteggerla e lei era stata nominata la loro signora, regina la donna, la monna degli orsi. Gli era stato dato un territorio da controllare, dai confini mutevoli, come le nevi che ogni anno cadono su queste terre, da allora molte vicende l’hanno vista coinvolta, con pellegrini, viandanti e genti che nei mesi nevosi decidono di attraversare queste montagne, il suo territorio raggiunge le massime dimensioni nei mesi di gennaio e di febbraio, a volte raggiunge anche gli altri paesi della valle, ma inesorabile poi con l’arrivo della bella stagione pian piano si riduce, fino a finire sotto la cavità di quel faggio dove Felicità finisce sempre per riaddormentarsi protetta dai suoi fidati amici orsi, un letargo al contrario che dura fino all’arrivo dei primi freddi, quando le finisce il torpore e come accade da sempre nel momento in cui apre i suoi occhi, sul prato si chiude l’ultimo fiore e dal celo si sgancia il primo fiocco di neve.

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